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Il mito di Ford nella 24 Ore di Le Mans

La storia dell’Ovale Blu nella celebre corsa

È la regina delle gare endurance dell’automobilismo mondiale e una delle gemme della Triple Crown (“Tripla Corona”), il più alto riconoscimento per un pilota da corsa. Stiamo parlando della 24 Ore di Le Mans, celebre competizione riservata alle vetture sportive a ruote coperte (Prototipi e Gran Turismo). Nel prossimo week-end (15 e 16 giugno) si disputerà la novantaduesima edizione. 

Si corre su Le Circuit de la Sarthe, che prende il nome dall’omonimo dipartimento del nord-ovest della Francia dove si trova la città di Le Mans. Lungo tredici chilometri, alterna parti di tracciato quotidianamente aperte al traffico (come la D138 e la D139) con altre riservate esclusivamente al motorsport

Qui Ford ha scritto pagine indelebili di questo appuntamento, atteso dagli appassionati di motori (e non) di tutto il mondo e iniziato nel 1923 per volontà dell’Automobile Club de l’Ouest (ACO).

24 ore le mans
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Una di queste è la partenza. Si deve infatti all’Ovale Blu la procedura utilizzata ancora oggi. Dove le vetture si lanciano dopo aver percorso il primo giro dietro la safety-car. Tutt’altra modalità invece fino al 1969. Quando i piloti erano schierati in piedi, sulla sinistra del via, e al segnale dello starter raggiungevano a corsa le loro vetture, disposte sul lato opposto a lisca di pesce. Un format rischioso. Perché molti di loro, per essere più veloci, non allacciavano la cintura di sicurezza.

Così quell’anno il belga Jackie Ickx, memore del grave incidente capitato nel 1968 al suo amico e connazionale Willy Mairesse, in segno di protesta si avviò a passo d’uomo verso la sua Ford GT40 Mk I. E lasciò la griglia in ultima posizione e molto staccato dal resto del gruppo. Ma non fu un problema. Perché grazie a una guida eccezionale, che alternò con Jackie Oliver, rimontò e vinse. Nonostante problemi ai freni e la concorrenza della Porsche di Hans Hermann e Gérard Larrousse. A completare il trionfo, il terzo posto di un’altra Ford GT40 Mk I, guidata dagli inglesi David Hobbs e Mike Hailwood. 

Fu un successo storico. Sia perché dall’anno successivo cambiò il via della gara, sia soprattutto perché fu il quarto e ultimo di Ford come costruttore.

Il poker fu aperto nel 1966 in un’edizione indimenticabile. Merito della tripletta capeggiata dal duo Chris Amon-Bruce McLaren a bordo della GT40 Mk II , spinta da un Ford 7.0L V8 , che per la prima volta nella storia della manifestazione trionfò con una media superiore ai 200 km/h.

Quella vittoria fu ricordata almeno per altri due motivi. Per la frase “Go like hell!” – “Vai come l’inferno!” – che McLaren urlò al compagno di squadra quando lo sostituì al volante. E per la prima sconfitta rifilata da Ford all’allora regina della 24 Ore: la Ferrari. Ritornata a vincere l’anno scorso dopo un digiuno ultracinquantennale. 

Il duello tra questi due giganti dell’automobilismo animò gli anni Sessanta della 24 Ore (bilancio di 6 successi a 4 per il Cavallino Rampante). E fu accentuato dal rifiuto di Maranello, in preda a una grave crisi economica, dell’offerta di Henry Ford II per rilevarne l’attività.

Una rivalità poi raccontata al cinema nel 2019 col film Le Mans ’66 – La Grande Sfida, regista James Mangold e attori, fra gli altri, Matt Damon e Christian Bale. 

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Da segnalare che già nel 1971 la maratona della Sarthe era apparsa sul grande schermo. Merito del regista L. H. Katzin e del suo La 24 Ore di Le Mans. Che offre anche porzioni di gara autentiche, registrate nell’edizione precedente con una telecamera nell’abitacolo di uno dei partecipanti. Star della pellicola, l’attore-pilota Steve McQueen, che avevamo già trovato in Bullitt alla guida di una Ford Mustang. Una sua frase ben dipinge l’animo di ogni driver: “Quando uno corre, vive. E tutto quello che fa, prima o dopo, è solo attesa”.

Ford si ripeté nel 1967 con la GT Mk IV, evoluzione della precedente, motorizzata sempre con lo stesso propulsore e guidata dal duo a stelle e strisce Dan Gurney e A. J. Foyt. L’anno dopo fu invece l’accoppiata Pedro Rodriguez (Messico) e Lucien Bianchi (Belgio) a pilotare verso la gloria una GT Mk I animata da un Ford V8 4.9L

Proprio il propulsore consentirà a Ford di ritornare sul gradino più alto del podio nel 1975 e nel 1980, equipaggiando una squadra inglese (Gulf) e una francese (Rondeau). A oggi, l’Ovale Blu occupa il quinto posto nell’albo d’oro, che vede primeggiare Porsche (diciannove affermazioni). 

Infine, da ricordare che, insieme al Gran Premio di Monaco e alla 500 Miglia di Indianapolis, la 24 Ore di Le Mans è indispensabile per cingersi simbolicamente la testa con la Triple Crown. Cioè la “Tripla Corona”, la più alta onorificenza per un pilota. Finora se l’è aggiudicata solo l’inglese Graham Hill, che qui trionfò nel 1972.

Prima di lui c’erano riusciti altri tre iridati della F1 (Mike Hawthorn, Phil Hill e Jochen Rindt). Dopo, esclusivamente Fernando Alonso (2018 e 2019), al quale manca Indianapolis per realizzare quest’impresa, molto ambita nel passato.

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