Monte-Carlo:
la corsa dal fascino unico regno dei motori Ford
Monte-Carlo: le origini
È chiamato il “gran premio lotteria”, la “gara roulette” o il “circuito salotto”. Ma la definizione migliore per il tracciato di Monte-Carlo, teatro domenica prossima del Gran Premio di Monaco, è racchiusa in un aggettivo: unico. Per la sua storia e per il suo fascino, che lo rendono un simbolo senza eguali del motorsport.
Anche se quasi sempre presente nel calendario del campionato di Formula-1, le sue origini risalgono al 1929. Quando la volontà di Anthony Noghès, commerciante di tabacchi e presidente dell’Automobile Club di Monaco, prese forma con la prima edizione di questa corsa di velocità su strade adibite alla viabilità ordinaria. Un menu del tutto inedito rispetto alle sfide che già all’epoca si disputavano negli autodromi (Monza, Indianapolis), ma che Monte-Carlo ha saputo riproporre con inalterata bontà fino ai giorni nostri. E che è alla base del suo straordinario successo. Perché tutti vogliono esserci, a Monte-Carlo. Sportivi, attori, cantanti, manager, modelle, etc. Certo, merito della sua cornice – mare, mondanità, lusso – ma soprattutto delle sue caratteristiche, introvabili nel resto del mondo.
Monte-Carlo: il circuito
Qui gli spazi sono stretti e i rettilinei troppo corti. Tanto che a rendere famoso il circuito sono le sue curve. Alcune per la loro difficoltà, quasi tutte per i loro nomi. Quella del “Casinò“, un “destra-sinistra” in prossimità del noto “Casinò di Montecarlo”, è determinante per fare il tempo in qualifica e anticipa quella più lenta di tutta la F1, la “Fairmont Hairpin”. Meglio conosciuta come curva della “Vecchia Stazione” perché sede fino alla metà degli anni Sessanta del secolo scorso della stazione del Principato, è un tornantino da meno di 60 km/h dove il volante della vettura viene girato di oltre 180°. Poco più avanti, dopo il “Portier” figlio dell’ingresso dell’albergo situato nei pressi, un’altra esclusiva di tutto il campionato: il “Tunnel“.
Anch’esso in piega, vede le monoposto sfrecciare sotto i grattacieli a oltre 280 km/h per dirigersi verso il “Tabaccaio“, secca svolta cieca a sinistra altrettanto cruciale per assicurarsi un buon posto sulla griglia di partenza e per misurare lo spessore del pilota. Le “Piscine” e la “Louis Chiron“, intitolata all’unico pilota monegasco vincitore della manifestazione (1931), precedono la “Rascasse“, dal nome dell’omonimo locale lì costruito a inizio anni Settanta che obbligò gli organizzatori a ridisegnare la lenta curva del “Gasometro”, e la “Anthony Noghès“, che immette sul traguardo dove l’ideatore dell’evento è nuovamente presente. Come su ogni altra pista. Perché si deve a lui l’invenzione della bandiera a scacchi, pensata mentre giocava a dama e cercava una soluzione per comunicare l’arrivo ai piloti evitando fraintendimenti.
Monte-Carlo: le curiosità
In un dedalo simile è pressoché impossibile sorpassare. Soprattutto sull’asciutto, anche se ogni tanto qualcuno ci riesce. Come Gilles Villeneuve, che fu il primo ad ammaestrare questo serpente d’asfalto con un motore turbocompresso. Nel 1981, a quattro giri dalla conclusione, infilò la sua Ferrari tra il guard-rail e la fiancata della Williams del campione del mondo Alan Jones e andò a vincere tra l’estasi della folla. Qualcosa si può rischiare sul bagnato, a patto di essere draghi della guida. Come Ayrton Senna, che all’esordio nel 1984 mostrò sprazzi del suo talento rimontando dalla tredicesima alla seconda posizione con la modesta Toleman. Oppure come Michael Schumacher, che con la Ferrari nel 1997 inflisse un distacco abissale alla concorrenza.
Monte-Carlo è l’unica prova del campionato che si disputa sotto la distanza regolamentare minima trecento chilometri. Una deroga introdotta però nel 1968. Fino ad allora i suoi tre chilometri poco più si ripetevano ben cento volte, costringendo i piloti a stare in macchina anche più di tre ore, come nella prima edizione (1950) vinta dall’argentino Juan Manuel Fangio. Rispetto agli altri appuntamenti iridati, qui le prove libere si svolgono il giovedì e non il venerdì. Questo perché agli albori la gara si disputava nel week-end dell’Ascensione e il venerdì la strada era riservata alla processione. Originale fino al 2016 anche la cerimonia di premiazione: non sul tradizionale podio bensì sul palco della famiglia reale con i piloti che si posizionavano sfalsati sugli scalini secondo l’ordine di arrivo. E soltanto qui il vincitore la sera è invitato a cena dai sovrani ed è obbligato a indossare lo smoking. Per un pilota conviene quindi averlo sempre in valigia altrimenti potrebbe essere costretto a rimediarlo all’ultimo.
Monte-Carlo: il regno dei motori Ford
Monaco può rivelarsi l’unico momento di gloria nella carriera di un pilota – Jean-Pierre Beltoise (BRM, 1972), Olivier Panis (Ligier, 1996) e il nostro Jarno Trulli (Renault, 2004) – o il primo. Come per Riccardo Patrese, che nel 1982 ebbe la meglio in una domenica rocambolesca con la sua Brabham motorizzata Ford-Cosworth.
Proprio il propulsore dell’Ovale Blu, con tredici vittorie, è il sovrano del Principato. Qui debuttò in F1 nel 1967 per poi fare subito sue le due edizioni successive grazie alla Lotus di Graham Hill, unico pilota nella storia dell’automobilismo a essersi aggiudicato la “Triple Crown”, l’alloro destinato a chi primeggia anche nella 24h di Le Mans e nella 500 Miglia d’Indianapolis. Ma per Ford questo è un luogo speciale anche per altri motivi. Il suo otto cilindri qui ha ottenuto il centesimo sigillo della sua storia nella massima formula (1977, Jody Scheckter sulla sconosciuta Wolf) e nel 1993 ha spinto Senna (McLaren) al record assoluto di successi per un pilota nel labirinto monegasco: sei. L’anno dopo, l’ultimo ruggito. Con Schumacher (Benetton).
Gloria, trionfi e anche molta libertà. Da queste parti se un pilota si ritira, può andarsene per i fatti propri senza bisogno di dover per forza rientrare ai box. Nel 1988 Senna, dopo aver sbattuto mentre era prossimo alla gioia, si rifugiò casco in mano nel suo appartamento per smaltire la rabbia. Nel 2006 Kimi Raikkonen, abbandonata la sua McLaren in fumo poco prima del “Tunnel”, raggiunse il suo yacht ormeggiato lì vicino. Scenari impensabili in qualsiasi altro gran premio. Ma qui siamo a Monte-Carlo. Il regno dell’unico.